Moltissimi runner che si infortunano seriamente hanno corso “sopra il dolore”. Con questa espressione si intende l’incapacità di accettare i primi sintomi dell’infortunio, di negarli (sperando che passi) o di zittirli con metodi errati (antinfiammatori e antidolorifici) finché la situazione degenera e non è più recuperabile in tempi brevi.
Quindi:
non correte sopra il dolore!
Se un doloretto al termine di una seduta si è incrementato rispetto alla volta precedente, se penalizza la prestazione, se è presente per tutto l’allenamento ecc., dovete valutare seriamente il fatto di essere infortunati.
È soprattutto il peggioramento della situazione che fa temere la possibilità di un infortunio serio. Se il tendine d’Achille mi duole per i primi 500 m del mio allenamento, posso pensare di tenere sotto controllo la situazione; ma se dopo una settimana i 500 m sono diventati i primi 2-3 km, non c’è storia: sono infortunato!
Molte patologie lievi si trasformano in patologie ben più gravi a causa dell’incapacità di sospendere l’attività atletica. Il timore di perdere la forma è più forte del buon senso, rendendoci sordi ai messaggi del corpo. Anche in questo caso alla base dell’errore c’è una cattiva informazione su come stanno veramente le cose. Sinteticamente:
a) il riposo assoluto fino a tre-quattro giorni non provoca un deallenamento significativo (a prescindere dall’aumento di peso corporeo);
b) un riposo (attivo) di X giorni si recupera con X/2 giorni.
Il punto b) significa che un riposo attivo di 30 giorni si recupera in 15 gg. Il riposo deve essere attivo nel senso che l’atleta si allena con altri sport (per esempio ciclismo) e con altri mezzi (per esempio palestra). Una regola fondamentale è che
conviene riprendere da sani piuttosto che allenarsi da malati.
Facciamo un esempio. Una banale peritendinite all’achilleo. L’atleta ha il tendine integro, ma ha contratto la patologia a causa di un sovraccarico nell’allenamento. Ha due soluzioni:
a) riposo attivo per 15 gg ca. e ripresa degli allenamenti. Dopo un mese dall’infortunio va meglio di prima.
b) Terapie di sostegno (antinfiammatori, infiltrazioni ecc.), allenamento non sospeso. Le terapie hanno il solo effetto di consentire la prosecuzione degli allenamenti con qualche fastidio. È uno scontro fra terapia e nuove sollecitazioni. Se vince la prima dopo un mese l’atleta è come prima (cioè come nel caso a), ma se vincono le seconde dopo due o tre settimane l’atleta dovrà fermarsi per forza, ricorrere a terapie più decisive, comunque con tempi di stop più lunghi.
Inutile dirlo che nella maggioranza dei casi ci si ritrova nella situazione b).
Da questi ragionamenti consegue che:
quando il dolore penalizza il normale allenamento è necessario fermarsi e intervenire.
Niente eroismi (come sempre sinonimo di ignoranza sportiva), ma un atteggiamento professionale, come se foste gli allenatori di un’altra persona. Ricordatevi che:
lo stop sportivo è un indicatore esistenziale.
Se non riuscite ad accettare la situazione, vi deprimete, diventate nervosi e irascibili, vuol dire che lo sport non è vissuto in maniera corretta, ma è la ciambella di salvataggio di una vita tutto sommato non soddisfacente. Ricordo che quando fui operato al rotuleo approfittai dello stop di qualche mese per diventare maestro di scacchi. La morale è che se sappiamo amare la vita, come amiamo lo sport, possiamo trovare altre attività e altre oggetti o persone verso cui convogliare la nostra capacità d’amare. Dovete cioè pensare con una mente più ampia e non limitata all’immediato e capire che anche nella ricostruzione c’è la possibilità di amare lo sport proprio come quando si è al top della forma.
Un altro aneddoto. Infortunio piuttosto serio al soleo; dopo quasi due mesi di stop riprendo con un giretto attorno all’isolato. La gamba regge, ma la forma è ovviamente disastrosa, sono lentissimo. Passo vicino a un gruppo di ragazzini che mi incitano con il solito “op-op-op”. Mi sento ancora più lento e fermo. Penso che se fossi stato in forma li avrei sfidati a staffetta, uno contro tutti, un giro dell’isolato (novecento metri circa) per ognuno di loro e corsa continua per me. Il pensiero di quella sfida mi stimolò per tutto il recupero. Dopo un mese li andai a ricercare e dopo qualche pomeriggio la scena precedente si ripeté con la variante che mi fermai e proposi la sfida che fu subito un po’ presuntuosamente accettata. Il loro primo frazionista mi diede dieci metri nei primi cento, ma il settimo e ultimo frazionista non fu doppiato per qualche decina di metri. Quindici giorni dopo feci il mio record sulla mezza.