C’è una strana, malata, similitudine tra le foto che arrivano dalla maratona di Pechino e quelle dei ragazzi in protesta a Hong Kong: hanno tutti la maschera, in entrambe le situazioni, c’è persino chi veste quelle antigas, eredità della guerra.
Siamo sempre in Cina solo che dovrebbero essere due momenti opposti: 30 mila persone in festa pronte a partire per una 42 chilometri che raccoglie fondi, passioni e ambizioni e una folla che manifesta per ottenere i diritti negati. Invece le due realtà finiscono per mescolarsi: chi si protegge dallo smog e chi dai lacrimogeni. Analogia assurda.
Ieri a Pechino l’inquinamento era sopra il livello di guardia, è quasi sempre sopra la norma, ma in piazza Tienanmen, davanti allo start della maratona, era 15 volte oltre la soglia di prudenza. A quel punto l’aria è definita tossica, si «sconsigliano le attività all’aperto» e di certo si dovrebbe evitare di esporre i polmoni a 42 chilometri di tortura. Gli allarmi sono partiti il giorno prima e qualsiasi movimento straniero, associazioni ambientaliste, l’ambasciata americana che ha posizionato sul tetto uno strumento per valutare il grado di inquinamento, molte delle organizzazione che portano i runner in giro per il mondo, hanno chiesto a Pechino di cambiare data. La Cina non ci ha neanche pensato, chiudere le piazze principali, decorare il parco olimpico dove la gara finisce vicino al Nido, lo stadio delle Olimpiadi 2008, è un lavoro troppo complicato per essere fatto due volte. Avanti come da programma e soprannome della corsa più che mai rispettato: l’hanno ribattezzata «Airapocalypse» e non c’erano mai state condizioni così prima.
La gente voleva partecipare, non si è tirata indietro. Le maratone costano, in tutti si sensi. Soldi, fatica, investimenti di ogni tipo perché sulla strada si mischiano aspettative, voti, fioretti, dimostrazioni. Ogni maratona ha spesso poco a che fare con il salutismo, ci si spinge al limite, si consumano energie. Per il jogging basta molto meno, la maratona chiede altro e chi si era preparato per Pechino non ha voluto cedere. Non all’inizio almeno.
Sul monitor della partenza ha brillato la parola «Attenzione», prima in cinese e poi in inglese, seguita dall’ancor meno confortante «pericolo». Distribuivano maschere al via e spugne alla fine, i volontari raccomandavano di «lavarsi prima di rientrare in casa», prima di portarsi dietro un concentrato da discarica. Dopo 10 chilometri un quarto dei partecipanti aveva già smesso, tra loro Chas Pope, un britannico residente in Cina che ha postato su twitter la sua maschera prima e dopo, bianca pre e grigia post, con l’eloquente commento: «Sono grato di non aver respirato questa roba. Andare avanti era davvero difficile». Tanti altri come lui si sono fermati, schifati, altri si sono spinti in là, i migliori quelli che sapevano di poter chiudere la pratica in fretta e limitare le conseguenze. Il keniano che ha dominato i primi 20 chilometri si è fatto da parte. E non era una lepre destinata al sacrificio. Il vincitore, l’etiope Girmay Birhanu Gebru che ha chiuso in 2 ore 10 minuti e 42, si è subito tolto dalla strada dopo il trionfo a braccia alzate. Non ha nemmeno recuperato, si è infilato nella tenda, è risbucato per la premiazione ed è sparito in albergo. La terza classificata tra le donne, la cinese Gong Lihua, ha spiegato: «Non si riusciva neppure a sudare». Descrizione coraggiosa visto che l’amministrazione locale non gradisce le critiche.
La lotta all’inquinamento sta nel programma ufficiale del governo, in teoria dovrebbero ridurre le emissioni nocive, in pratica solo durante i Giochi di sei anni fa si riusciva a intravedere il cielo e le fabbriche erano chiuse, il traffico limitato. Ogni volta che il mondo guarda la Cina loro provano a trattenere il respiro. Lo hanno fatto la settimana scorsa per l’amichevole Argentina-Brasile con tanto di suggerimento ai migliori giocatori del mondo di «stare in hotel», lo faranno il 12 novembre per il Forum economico in cui è previsto l’incontro tra il presidente degli Stati Uniti Obama e quello cinese Xi Jinping: le auto non potranno proprio circolare. Due giorni di misure straordinarie per evitare rogne. Ma la maratona di solito non attira riflettori, non ci sono grandi nomi e i sussulti sono rari. Come hanno ricordato molti dei partecipanti: «Questa gara è sempre inquinata», purtroppo la condensa di ieri era straordinaria e la maratona in maschera ha fatto il giro del globo.
Pechino ospiterà i Mondiali di atletica la prossima estate ed è in gara per i Giochi invernali del 2022. Quando si è proposta non aveva speranze, le Olimpiadi sono appena state lì e l’edizione 2018 è in Asia, in Corea del Sud, però dopo il ritiro di Oslo la sfida è a due e in realtà il Cio non era troppo entusiasta dell’opzione Almaty, in Kazakhistan. Fino a ieri Pechino era, a sorpresa, la favorita, solo che le foto con i runner in cerca di ossigeno hanno cambiato la prospettiva. Anche per questo gli organizzatori hanno evitato di rinviare la gara, non volevano cattiva pubblicità. Ora hanno «Airapocalypse» e non più un nomignolo per iniziati.