Chiara, rossa o scura è una bevanda salutare a detta di tutti, medici e nutrizionisti che ne ammettono e consigliano il consumo, purché in modica quantità.
Bere per prevenire. Questo è uno degli slogan che circola ormai da tempo nel mondo medico-scientifico dove un numero sempre maggiore di studi e ricerche confermano gli effetti positivi di un moderato consumo di alcol – e della birra in particolare – sulla salute in genere e su alcune specifiche patologie in particolare. Che si tratti di malattie cardiovascolari, menopausa e anche diabete, infatti, i risultati parlano chiaro: la birra è una preziosa fonte di vitamine che sono essenziali per la vita, e contemporaneamente è anche ricca di antiossidanti.
Come avviene per i farmaci, però, bisogna “leggere attentamente il foglietto illustrativo” e seguire le istruzioni per l’uso. Gli esperti ammettono l’assunzione di 24/40 grammi di alcol al giorno (a seconda del sesso, dell’età e dello stato fisico): il che equivale ad un litro (o ¾ di litro secondo altri) di birra chiara.
BIRRA E CUORE
Uno studio olandese pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Lancet ha stabilito che il consumo quotidiano, ma oculato, di birra protegge dagli attacchi di cuore più e meglio del vino rosso Una pinta di birra al giorno toglie il cardiologo di torno… La parafrasi di un vecchio proverbio sintetizza al meglio il rivoluzionario risultato cui è giunto un team di ricercatori olandesi.
Stando ai risultati della ricerca del dottor Kenk Hendricks e dei suoi colleghi, pubblicata dalla prestigiosa rivista scientifica inglese The Lancet, una pinta (56,1 cl) di birra al giorno protegge da attacchi di cuore più di un bicchiere di vino rosso o di altri alcolici.
Partendo dalla constatazione che la birra contiene un’interessante quota di vitamina B6, la vitamina che influisce sulla produzione, all’interno dell’organismo, dell’omocisteina, un agente chimico ritenuto una delle concause dei problemi cardiaci, i ricercatori olandesi hanno tenuto sotto osservazione per 12 settimane 111 uomini (di età compresa fra i 44 ed i 59 anni) in buone o ottime condizioni di salute, abituati a consumare ogni sera la stessa bevanda: chi la birra e chi il vino.
Durante il periodo di osservazione è emerso che quanti bevevano la birra vedevano aumentare nel sangue i livelli di vitamina B6 (+30%) mentre quelli dell’omocisteina rimanevano stabili; nei consumatori abituali di vino, invece, mostravano un costante aumento (+8%) dei livelli di omocisteina con un conseguente aumento (+10-20%) dei rischi cardiovascolari.
I risultati del team dell’Istituto olandese per la ricerca sul cibo e sulla nutrizione, che per la prima volta mettono direttamente in relazione gli effetti benefici del vino e della birra, suffragano una volta di più l’assunto – datato 1951 – che un aiuto efficace al buon funzionamento dell’apparato cardiocircolatorio è l’assunzione di moderate quantità di alcol.
Da allora sull’argomento si sono succeduti moltissimi studi che non hanno fatto che corroborare quella tesi, ed ormai è opinione diffusa all’interno della classe medica che il consumo di “moderate” quantità di alcol riduce significativamente la mortalità legata ad infarto ed ictus. Queste proprietà benefiche sono da attribuire principalmente ai polifenoli, presenti nella materia prima, e ad altri microcomponenti ad elevato potere antiossidante, che agiscono contro le sostanze tossiche come i radicali liberi, riconosciuti come una delle possibili cause di aterosclerosi e malattie cardiovascolari.
Accanto ai medici e ai nutrizionisti che hanno sempre citato a testimonianza della verità di questo assunto scientifico il cosiddetto “paradosso” francese (ovvero la scarsa incidenza di malattie cardiovascolari in un paese come la Francia – dov’è tradizionalmente diffuso il consumo di grassi saturi, contenuti soprattutto nei formaggi – dovuta alla propensione dei francesi a bere vino durante i pasti), dobbiamo ricordare quegli esperti per i quali è valido il “paradosso tedesco”. In Germania, infatti, dove la birra è la bevanda preferita, un’indagine ha stabilito che la sospensione forzata del consumo di birra determinerebbe un aumento delle malattie cardiovascolari, la diminuzione delle aspettative di vita di almeno due anni e, più in generale, il crollo del buon umore, alleato fondamentale di qualsiasi terapia medico-farmacologica.
Tornando alle evidenze scientifiche, comunque, vale la pena ricordare alcuni tra i risultati più recenti. Il primo è quello del gruppo di Leon Simmons della University of New South Wales (Australia) che, nel corso del Congresso internazionale “Nutrizione, trombosi e malattie cardiovascolari”, ha presentato una ricerca realizzata nell’arco di oltre 10 anni su circa 2.800 anziani residenti a Dubbo, una cittadina a nord-ovest di Sydney. I risultati dimostrano come il consumo di una o due birre al giorno (corrispondenti a quantità variabili tra il ½ litro ed il litro) ha ridotto la mortalità totale della popolazione della piccola – e anziana – comunità: dal 51% dei maschi non bevitori al 42% dei maschi bevitori, con una riduzione del 17%; percentuale che sale al 19% nelle donne.
Dall’Australia arriva anche una seconda novità: il gruppo del professor Ian Puddey dell’University Department of Medicine del Royal Perth Hospital ha esaminato l’impatto del consumo di birra sui fattori a rischio per le malattie cardiovascolari: livelli elevati di colesterolo e ipertensione. Premesso che l’assunzione di alcol favorisce sempre e comunque l’innalzamento della pressione sanguigna, è stata però evidenziata una differenza fondamentale. Mentre un superalcolico fa letteralmente impennare la pressione arteriosa ed i valori del colesterolo, il consumo di una bevanda di moderata gradazione alcolica (la birra) unisce al piccolo aumento della pressione l’aumento del livello di colesterolo “buono” HDL e la diminuzione di quello “cattivo” LDL, con una riduzione dell’attività dei fibrinogeni e delle piastrine, che sono i fattori che favoriscono la formazione dei trombi nel sangue.
BIRRA E DIABETE
Bere per prevenire, ovvero “Drink to prevent” è, oltretutto, anche il titolo di uno studio statunitense rivolto ai diabetici e pubblicato sul JAMA (Journal of American Medical Association). Secondo gli autori, infatti, uno o due bicchieri al giorno di bevande a basso contenuto alcolico forniscono protezione nei confronti delle complicanze cardiovascolari del diabete di tipo 2, la più diffusa forma di questa malattia. Al contrario di altre bevande contenenti zuccheri, infatti, la birra non alza il livello di insulina. In pratica, quanto finora era valido per la prevenzioni di infarti ed aterosclerosi in pazienti a rischio di malattie cardiovascolari vale anche per i malati di diabete, con il risultato di allontanare i rischi più seri e di allungare le aspettative di vita.
In questo caso specifico, però, c’è una “procedura” da rispettare: l’assunzione di alcolici per i diabetici non vale in termini assoluti. Il via libera per il consumo può e deve darlo solo il medico curante, che valuterà caso per caso le indicazioni da dare.
BIRRA E MENOPAUSA
Il 25 novembre 1999, nel corso del Simposio europeo “Birra e salute” ospitato a Bruxelles dall’Associazione europea dei produttori di birra (CBMC) è stato presentato uno studio dell’Instituto de Agroquimica y tecnologia de alimentos (IATA) di Valencia, Spagna che rileva l’aumento dei livelli di androstenedione, estrone ed estradiolo (tutti estrogeni) nelle donne che consumano abitualmente la birra… E come tale aumento mantenga più a lungo la funzione ovarica, ritardando in maniera sensibile la menopausa.
BIRRA E CANCRO
Una delle più recenti ed interessanti ricerche fatte in campo oncologico pubblicata dall’American Journal of Epidemiology (S.Chu, P.Wigo, L.Webster) e riguardante una possibile correlazione tra la birra ed il cancro al seno. I risultati di questo studio hanno infatti permesso di affermare che le donne che consumano abitualmente moderate quantità della bevanda non aumentano le probabilità di andare incontro al tumore della mammella rispetto alle donne che non hanno mai assunto alcolici.
Il rapporto tra cancro allo stomaco e birra è stato invece esposto da uno studio prospettico pubblicato sul Cancer Research (A.Nomura, J.S.Grove, G.N.Stemmermann, R.K.Severson) in cui si è riusciti a dimostrare che chi beve una corretta quantità di birra non rischia in alcun modo di veder aumentare il proprio rischio nei confronti del tumore allo stomaco. Stesse conclusioni si sono avute da una ricerca inglese sulle relazioni possibili tra la birra e il cancro al colon e da una ricerca americana in merito agli effetti sul cancro alla tiroide.
Buone notizie circa il tumore al pancreas, poi, sono arrivate da un altro studio (C. Bouchardy, F.Clavel, C.La Vecchia, L.Raymond, P.Boyle) che nel considerare le interazioni fra l’alcol e la malattia ha stabilito che le bionde, le rosse e le scure non sono dannose per l’intestino e che, quindi non si può associare in alcun modo la comparsa di un tumore intestinale con l’assunzione di un qualsiasi tipo di birra.
BIRRA E DIURESI
Un adulto normale e di peso medio espelle tra i 1.000 ed i 1.800 centimetri cubici di urina ogni giorno. Tale quantità – che peraltro varia da soggetto a soggetto in base a vari fattori: alimentazione, età, peso e stagione dell’anno – aumenta nel caso in cui invece dell’acqua si consuma birra. In questo caso, infatti, la presenza dei sali minerali (potassio e magnesio) e la ridotta quantità di sodio favoriscono l’accelerazione del processo diuretico e, di conseguenza, l’abbondanza della produzione di urine.
In buona sostanza, quindi, la birra, se assunta in quantità modeste, aiuta il naturale lavoro dei reni senza però alterare l’equilibrio dei liquidi e dei sali minerali presenti nel corpo, questo può comportare innanzitutto la diminuzione dell’incidenza dei calcoli renali e, poi, un giovamento per la salute generale.
BIRRA E CELIACHIA
Comprare la birra in farmacia. E’ quanto possono fare, finalmente, i celiaci, ovvero quell’esercito di oltre diecimila italiani affetti dall’intolleranza alimentare ala quale si può sopravvivere soltanto osservando una dieta rigorosamente priva di frumento, orzo, segale e avena. Questa malattia impediva pertanto – oltre a quello di pane e pasta – anche il consumo di birra e whisky, derivanti dal malto d’orzo. E vodka (è un distillato di cereali vari).
Fino ad oggi l’industria farmaceutica aveva pensato a dei validi succedanei per i cibi solidi, tralasciando le bevande. Ora questa mancanza è stata colmata e, nei frigoriferi di tutti noi, la confezione della birra senza glutine non si distinguerà da quella di una birra qualunque se non per il marchio con la spiga sbarrata.
BIRRA E PARAMETRI METABOLICI
L’alcol in dosi elevate ha un’azione diretta sull’eccitabilità e contrattilità del muscolo cardiaco. Un abuso di sostanze alcoliche, infatti, crea un aumento del ritmo cardiaco e della gittata sistolica dando origine ad una vasodilatazione cutanea (gote arrossate, sensazione di calore) contemporanea ad una vasocostrizione della milza.
La birra in sé non ha un elevato grado alcolico (da 3.6 grammi – lager – a 6 grammi – doppio malto – di alcol ogni 100 grammi di prodotto) ma è facile capire che gli effetti dannosi dell’alcol dipendono, più che dal tipo di bevanda, dalla quantità consumata.
La quantità massima consentita è fissata, per alcuni esperti, in 40 grammi di alcol giornalieri per l’uomo e 30 grammi per la donna, ma recentemente il mondo britannico, alla luce della letteratura internazionale più aggiornata, propende per dosi raccomandate di 3 unità giornaliere (24g.) per l’uomo e due unità (16g.) per la donna, fino ad un limite massimo settimanale di 21 (168g.) e 14 unità (112g.) rispettivamente; cioè – prendendo in considerazione le lager a più bassa gradazione alcolica – circa 4 litri a settimana per gli uomini e 3 litri per le donne.
Resta da aggiungere che a basse dosi l’alcol ha effetti positivi tanto sul nostro organismo quanto sul nostro umore (rende le persone più socievoli). Quindi, salute!
http://www.assobirra.it/tutto_sulla_birra/birra_nutrizione/01-birra_nutrizione.htm