La maratona femminile impiegò molti anni prima di affermarsi. Le donne non furono ammesse ai giochi olimpici moderni se non nel 1928, quindi con 32 anni di ritardo rispetto ai colleghi maschi.
Anche nelle olimpiadi antiche, in Grecia, alle donne non era permesso partecipare alle competizioni atletiche, neppure come spettatrici. Nelle olimpiadi moderne la massima distanza percorribile assegnata alle donne nel 1928 erano gli 800 m e solo nel 1972 si arrivò ai 1500 m. Non stupisce quindi che per essere ammesse alla disputa della maratona le donne dovessero faticare non poco, per convincere organizzatori e medici che il fisico femminile fosse preparato a sostenere una distanza così lunga. Naturalmente il fatto di non essere ammesse alle gare non significa che qualcuna non ci avesse provato, anche se non essendoci prove ufficiali le notizie sono confuse e non sempre concordanti. Si ricorda la greca Stamatis Rovithi, la prima donna a percorre la maratona da Maratona ad Atene nel 1896, appena un mese prima della gara olimpica, ma non si hanno notizie del tempo impiegato. Alla prima maratona Olimpica dell’aprile 1896 cercò di partecipare una greca, Melpomene, che però fu allontanata dagli organizzatori e percorse la gara al di fuori del percorso ufficiale, costeggiandolo fino allo stadio, dove giunse un’ora e mezzo dopo Spiridon Louis. I primi tempi ufficiosi di donne che terminavano una maratona (non olimpica) anche se non ammesse ufficialmente a partecipare, sono dell’inglese Violet Piercy (3h40’22″, 1926), di Roberta Gibb (3h21’25″, 1966, Boston). L’anno dopo, sempre a Boston, la studentessa di giornalismo americana Kathrine Switzer si presentò alla partenza e, nonostante fosse stata ostacolata e strattonata da un giudice che cercò di trascinarla via dal percorso, riuscì a continuare e finire anche se in un tempo molto superiore a quello della Gibb dell’anno prima.
La Gibb corse in totale anonimato, nessuno si accorse di lei, mentre la foto del match tra Switzer e il giudice di gara finì sui giornali e fu il primo tentativo “visibile” delle donne di prendere parte a una maratona ufficiale.
Nel 1971 la prima donna ad abbattere il muro delle tre ore fu l’australiana Adrienne Beames, con 2h46’30″. Il fatto che in un sol colpo si guadagnassero quasi 15 minuti la dice lunga su quanto ampi fossero i margini di miglioramento e quanto scarsa la preparazione delle prime atlete. Occorre arrivare al 1973 per avere la prima maratona internazionale femminile, a Weldniel, in Germania, con quaranta partecipanti. Nel 1978 fu invece la volta della prima maratona internazionale femminile sul suolo americano ad Atlanta, Georgia, con la prima Avon International Marathon.
La maratona di New York del 1979 vede la vittoria di una leggenda dell’atletica, Grete Waitz, con il tempo incredibile, se confrontato ai tempi di soli dieci anni prima, di 2h27’33″. La prestazione della norvegese, prima donna a scendere sotto il muro delle 2h30′, oltre alla partecipazione massiccia delle donne (ormai le migliori maratone internazionali raccoglievano qualche centinaio di partecipanti) fece perorare la causa dell’introduzione della maratona femminile nei giochi olimpici anche da parte del Times, che scrisse un editoriale a tale proposito. Ma solo nel 1984 la maratona femminile fu ammessa ai giochi olimpici, nell’edizione di Los Angeles, con un ritardo di altri 5 anni rispetto alla pregevole prestazione della Waitz, e con quasi cento anni di distanza dalla prima maratona ufficiale maschile! Vinse l’americana Joan Benoit, con il tempo di 2h24’52″, il terzo tempo al mondo dell’epoca. La Benoit si migliorò ulteriormente pochi anni dopo, stabilendo il primato statunitense in 2h21’21″. Alla prima maratona olimpica femminile di Los Angeles, dietro la Benoit, giunse seconda Grete Waitz, seguita dalla portoghese Rosa Mota. Nella prima edizione olimpica, la vicenda della svizzera Gabriele Andersen-Scheiss, che fu portata via in barella al termine della gara, alimentò ancora le polemiche sulla opportunità di aprire una gara così lunga alle donne, dimenticando che nella prima edizione maschile del 1896 le cronache riportano le vicende di tre atleti greci che morirono durante la preparazione dei trials, e che il tempo della svizzera (2h48’45″) avrebbe vinto le prime cinque edizioni maschili di maratone olimpiche.
La maratona femminile si è evoluta velocemente: dopo essersi affermata faticosamente nelle discipline dell’atletica mondiale ufficiale, ha fatto in poco meno di vent’anni dei passi da gigante, non solo dal punto di vista cronometrico, ma anche per quanto riguarda l’aspetto agonistico, con un numero sempre crescente di atlete di livello confrontabile. Nel 1988 la portoghese Rosa Mota vinse con 2h25’40″, superando la resistenza della tedesca Dorre e dell’australiana Martin. Alla maratona olimpica di Barcellona (1992), nonostante il caldo soffocante, la gara si risolse a pochi metri dallo stadio, con Valentina Yegorova che superò di pochissimo (otto secondi!) la giapponese Yuko Arimori.
Negli ultimi anni sulla scena mondiale è comparsa un’atleta britannica,Paula Radcliffe, proveniente dalle gare più veloci della pista, che portò il record prima a 2h 17′ 18″ (maratona di Chicago, 2002) e poi stupì il mondo intero con la prestazione stabilita il 13 aprile 2003 alla maratona di Londra, vinta in 2h 15′ 25″. In quella occasione il ritmo notevole impresso alla gara non solo permise alla britannica di demolire il suo precedente primato di quasi due minuti, ma fece anche il record mondiale del passaggio al 30 km (1h36’36″)!