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Test di Ruffier-Dickson: cosa misura e come si esegue

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Il test di Ruffier-Dickson serve per la valutazione del livello di allenamento di una persona: ma come si esegue questa prova e come se ne interpretano i risultati?

Tra i test ”storici” di medicina sportiva, quello di Ruffier-Dickson è deputato a valutare il grado di allenamento di un soggetto in base alla variazione della sua frequenza cardiaca dopo uno sforzo. Questa prova è utile sia nella fase di inizio di un’attività sportiva che in quella della sua ripresa, magari a seguito di uno stop imposto da un infortunio, nonché per chi, pur praticando già uno sport, decide di passare a una disciplina aerobica.

Test di Ruffier: modalità di esecuzione.

L’esecuzione del test, molto semplice e veloce, avviene in tre fasi:
– si misurano le pulsazioni del soggetto (p0), che dev’essere a stomaco vuoto, a riposo da almeno 24h dall’ultimo allenamento e/o altro sforzo importante e viene lasciato in posizione seduta per 30”;
– si fanno eseguire 30 piegamenti sulle gambe per un totale di 45”;
– si misurano le pulsazioni subito dopo aver completato la serie di piegamenti (p1) e trascorso un minuto dallo sforzo (p2).
Il calcolo dell’indice di Ruffier (Ir) avviene applicando la seguente formula: Ir=(p0+p1+p2-200)/10. Il risultato ottenuto viene quindi confrontato con quelli riportati in un’apposita tabella che prevede un intervallo di dati che va da 0, il quale corrisponde a un ottimo grado di allenamento, a 15, che indica una scarsa forma fisica e la necessità di una valutazione medica più approfondita.

La variante di Dickson e i limiti del test.

L’originaria formulazione del test messa a punto dal Dr Ruffier è stata ulteriormente perfezionata da Dickson che, ferma restando la procedura di esecuzione della prova, ha ritoccato la formula per il calcolo dell’indice in questo modo: Id=[p1-70+2x(p2-p0)]/10.
Anche gli indicatori di riferimento sono stati rivisti, frammentando ulteriormente la scala dei risultati con un intervallo compreso tra valori minori o uguali allo 0 (stato di allenamento eccellente), a indici maggiori o uguali a 10 (pessima resistenza agli sforzi). La semplicità del test ha rappresentato, al contempo, la sua fortuna e la sua superabilità. Essendo una prova datata, il suo grado di attendibilità è andato riducendosi man mano che la ricerca scientifica ha progredito. Oggi, infatti, esistono esami strumentali (per esempio, l’ECG sotto sforzo) e apparecchi il cui uso è alla portata di tutti (come il cardiofrequenzimetro) che misurano in modo più accurato le variazioni della frequenza cardiaca, e sono dotati di software in grado di analizzare le stesse in modo decisamente più puntuale rispetto al confronto con una semplice tabella.

Un test utile ma tutt’altro che infallibile.

Come tutti i test valutativi della potenzialità di un atleta che considerano una sola variabile, anche quello di Ruffier-Dickson, pur essendo utile, non dà un quadro completo dello stato di forma fisica, ma semplicemente un’indicazione di massima sulla stessa. Inoltre, vi sono molti fattori che possono inficiare i risultati del test, quali:
– il mancato rispetto dei prerequisiti fondamentali di riposo e assenza di digestione in atto del soggetto sottoposto alla prova;
– una componente d’ansia, connessa all’essere sottoposti a un test, che induce un’accelerazione delle pulsazioni;
– l’esistenza di fattori congeniti (soffio al cuore e aritmia, per esempio) che non consentono di parametrare un soggetto all’interno di una tabella stilata per individui in perfetta salute.

 

 

Il Team di RunningMania