L’infiammazione del tendine d’Achille: fattori di rischio, cause e rimedi

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Uno dei problemi fisici più frequenti cui va incontro chi pratica il running, interessa la parte retrostante della gamba e, precisamente, quella che collega il tallone con i muscoli del polpaccio.

In questa zona, si trova il tendine calcaneale – noto anche come tendine d’Achille – che, pur essendo il tessuto fibroso più forte del corpo umano, è soggetto a infiammazioni, distorsioni e, negli infortuni più gravi, a rottura.

I micro-traumi che colpiscono il tendine d’Achille derivano dai sovraccarichi funzionali cui lo stesso è sottoposto e, a lungo andare, possono provocare uno stato infiammatorio, molto doloroso, denominato tendinite.
Generalmente, i runner vengono colpiti dalla tendinite non inserzionale, ossia quella che riguarda la parte centrale del tendine e che consegue a piccoli traumi derivanti, ad esempio dall’uso di calzature troppo basse e con suole rigide. Ma i fattori di rischio per il podista possono scaturire anche da un sovraccarico causato da una tecnica di corsa errata o da un percorso di allenamento con troppe discese.

Altre cause della tendinite inserzionale possono ricercarsi in patologie a carico del metabolismo (come il diabete), nell’artrite reumatoide o in malformazioni congenite, quali la dismetria degli arti inferiori o il ginocchio valgo.
Anche un allenamento con intensità di sforzo poco graduale può portare all’insorgenza della tendinite, così come la corsa con i muscoli del polpaccio freddi e contratti.
Spesso le fibre tendinee infiammate si calcificano, comporta la formazione di speroni ossei che sfregano sul tendine e peggiorano lo stato doloroso.

La diagnosi della tendinite parte da un piccolo test del dolore che si effettua ponendo il piede in flessione plantare e spingendone la punta verso l’alto. A questo primo esame, è bene far seguire una visita specialistica e delle indagini diagnostiche, atte a scongiurare lesioni o strappi del tendine d’Achille. Tra questi esami, vi sono i raggi X, che individuano la presenza di eventuali calcificazioni tendinee, e la risonanza magnetica, indispensabile per capire l’entità dell’infiammazione e, di conseguenza, la tipologia di intervento medico volto a curarla.

La cura (non chirurgica) dell’infiammazione tendinea, può avvenire con impacchi di ghiaccio – nel caso di tendinite lieve – da tenere per un massimo di 20 minuti sulla zona interessata dal dolore, con l’uso di ultrasuoni, laser e terapia con il calore, ovvero con l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidi – quali il Ketoprofene e l’Ibuprofene – che vanno assunti sempre dietro prescrizione medica e per periodi non superiori al mese.
Nei casi più gravi, si può ricorrere a infiltrazioni locali di cortisone – spesso sconsigliate perché possono causare la rottura tendinea – o all’uso di plantari, cavigliere, rialzi per il tallone e tutori.

Vi sono anche degli esercizi c.d. di “potenziamento eccentrico”, con contrazione del muscolo nella sua fase di allungamento, da eseguire prima con la supervisione di un fisioterapista e, quindi, da soli, a casa. Comunque, la tendinite, per essere curata in modo efficace, impone riposo, altrimenti si rischia di ledere il tendine in modo grave. Ne sa qualcosa lo sciatore svizzero Beat Fuez che, proprio a seguito di una lesione al tendine d’Achille, procuratasi durante una sessione di allenamento in Cile, dovrà sottoporsi a un intervento chirurgico e restare lontano dalle piste per almeno 3 mesi.
Il team di RunningMania

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